22.7.13

SERIES


DUE PAROLE:
ANCHE OGGI SONO VENUTI A PRENDERSI QUALCUNO.

























ILLUSTRAZIONE DAVIDE SUSINI






Hai presente quando senti al telegiornale che è venuto giù un aereo. il giorno dopo ne viene giù un altro, poi ancora uno e in fondo alla settimana non sai quanti morti. ma come, per mesi e mesi non succede un cazzo e a un tratto tutti gli aeroplani vengono giù. si guastano i componenti cruciali, i piloti impazziscono o diventano ebeti. vengono giù e la gente muore. disastri aerei. hai presente quando succedono queste cose? un pochino deriva dalla scia mediatica, questo è vero. la strage attrae le folle morbose a livello internazionale. ignoto magnate dell’uranio si schianta col suo biplano il giorno dopo che è cascato un’altro aereo. vola alto sulla terra rossa dell'australia centrale, col bagliore del sole sui rayban e qualche chilo di troppo, poi l'aereo bianco si accartoccia a terra. mistero. aveva bevuto ma secondo altri no. era il suo compleanno. era il centoventisettesimo uomo più ricco della terra. la scatola nera chiarirà quello che è successo. e infatti te lo raccontano tre giorni dopo, mentre scorrono le immagini dei drammatici ultimi attimi di volo e il terribile schianto. il video amatoriale di un turista. settecentomila visioni su youtube in due giorni. se invece il biplano viene giù il giorno dopo la finale dei cento metri, lo scopri soltanto da internet, scritto piccino in fondo alla sezione "mondo", che devi proprio andartela a cercare. cazzo, c'è scritto che era il centoventisettesimo uomo più ricco della terra! ma non è questo il punto, non è il caso mediatico, è la serie di eventi di cui voglio parlare. hai presente? io vivo in un quartiere di vecchi taccagni, benestanti, impiccioni e bigotti. nessuno che abbia veramente svoltato, ma nei palazzoni di uno degli isolati più prestigiosi della città, che se non conosci di persona l'assessore al traffico neanche sai che esiste, da quanto sono incasinati i sensi unici per arrivarci, bene in questi palazzoni abitano l'avvocato, l'ingegnere, il colonnello. o meglio, l'ex avvocato, l'ex ingegnere e l'ex colonnello, perché sono tutti ricchi e taccagni, impiccioni e saccenti, affettati e bigotti, ma soprattutto vecchi e borghesi. hai presente i quartieri cosi? no? devi fare un salto un giorno, da morire dal ridere. una delle zone più prestigiose della città. coi suoi palazzoni anni sessanta, gli appartamenti luminosi e ampi, coi soffitti a due e novanta, i posti auto pieni di audi e bmw, i sensi unici e i parcheggi a lisca di pesce perché dagli anni sessanta ad oggi le famiglie di auto ne hanno comprate altre due ciascuna. litigano tutti perché non sanno più dove ficcarle. tutti nervosi alla guida. no? uno di quei quartieri con tre negozi tutti uguali, che non sai se sono fornai o farmacie, bar o ferramenta, verdurai o mesticherie, perché vendono di tutto, e lo vendono a peso d'oro. che poi che cazzo vende una mesticheria? hai presente? no? devo invitarti a cena. la spesa la faccio da un'altra parte però, altrimenti ci lascio lo stipendio. un sacchetto con tre sedani e sei fottuto. e la roba mica è cosi buona... un pezzo di carne lo lasci un giorno in frigo e comincia a puzzare, ma che gliene frega al macellaio, qui non sgarra mai nessuno, la moglie dell'ingegnere lo sa da un mese che stasera si cucina lo spezzatino di coniglio, mica gli è mai successo che la fettina gli avanzi fuori programma al giorno dopo. hai presente, no? ma parlavo di altro, degli aerei che cadono e della serie di eventi. di come eventi simili si addensano nel tempo e nello spazio, cosi che nel mondo statisticamente cade un aereo all'anno ma gli ultimi dieci sono caduti tutti a febbraio dell'anno scorso e quasi tutti in russia. ah, la russia. una roba cosi. bene, dove abito io di aerei non ne sono mai caduti. non è mai successo. ultimamente invece, arrivano ambulanze. tutti i giorni, sempre tra le otto e le undici di sera. ormai sono quasi tre settimane, senza neanche un giorno di tregua. nell'anno e mezzo che ho abitato in questa casa non avevo mai visto un'ambulanza e l'ho detto, non è che si passi qui per caso, se capiti qui vuol proprio dire che stai cercando qualcuno. in pratica succede cosi: senti la sirena in lontananza, hai presente? poi si avvicina sempre di più. ahi ahi, forse è successo qualcosa. l'effetto stereo a un certo punto svanisce, la sirena passa dall'orecchio destro a quello sinistro, ma mica se ne va. persiste. sta ferma proprio qua sotto, e allora inizi seriamente a sospettare che siano alla ricerca di un numero civico. qualcuno su un terrazzo che agita il braccio per attirare l'attenzione. per un attimo ti scatta la compassione e pensi a quei due o tre vecchini simpatici che incontri quando esci in ritardo per andare al lavoro. o alla dolce signora del pianerottolo. o alla povera nonnina che cucina da dio, vive completamente da sola, si accorge con le lacrime che la vecchiaia è arrivata, il corpo fatica, i ricordi, anche quelli belli davvero, svaniscono, il volume della televisione non basta più e i programmi sono cosi noiosi. si è appena fatta aiutare a mettere il decoder dal vicino che si è spicciato a venirsene via e le ha lasciato raiuno sull'ottcentonovantatrè e tutti i canali sparsi tra uno e novecentonovantanove. e cosi la nonnina si è fatta un foglietto di carta scritto con la bic cancellabile e la mano decisa ma tremante: rai1 = 893, rai2 = 756 e cosi via. la nonnina cade e si spezza il femore e hai il nodo alla gola immaginandola per terra, aggrappata al telefono, anche quello col foglietto appiccicato: ambulanza = 118. il suono della sirena persiste ancora un po'. poi silenzio. ahi ahi ahi, è proprio successo qualcosa. hai presente, no? certo. a quel punto inizia il vero spettacolo. tutti i vecchi sordi e morti sono rianimati come nel giorno del giudizio. il rullo di tamburi che precede l'acrobazia. i botti di capodanno. il cazzo di trenino degli ubriaconi alle feste. la carrà, la macarena. giusto? calpestio ai piani sopra, urla da sotto e nell'appartamento accanto finalmente si abbassa il volume della televisione accesa h24 7/7 365/anno. si sentono sospiri, invocazioni alla madonna, grida del tipo "oddio, oddio è proprio qua sotto" "vai a vedere" "sarà l'avvocato, l'ingegnere, il cognome, il signor nome" "sono i pompieri? nooo è un'ambulanza" "cosa è successo?" e intanto tutti i vecchi strusciano i piedi e le seggiole, sotto gli effetti dell'adrenalina, della luna piena o del viagra. sedie a rotelle a propulsione elettrica accelerano come fossimo a indianapolis, i tutori scorrono sui pavimenti come palle da bowling, bastoni e treppiedi picchiano i marmi e i tappeti dei salotti. una versione borghese ed europea della scena finale di Zatoichi, con più puzza di rinchiuso e meno colori. presente? poi è il momento delle serrande. è un momento breve ma inconfondibile, che mi è rimasto proprio impresso. hai presente? no, eh? va bene, ma il rumore lo sai, è quello. drrran, drrrran, drrrrran, in tre o quattro colpi una finestra, sette o otto una delle porte dei terrazzi sul davanti o delle verande sul retro. che poi sti vecchi in casa ci si barricano, prima di tirare su è tutto un lucchettio, palettio, serrature, barre rinforzate, doppi vetri, camere iperbariche e polmoni d'acciaio. capito, no? io non mi muovo, ascolto soltanto. il soffitto è bagnato dalla luce dei lampeggianti blu che filtrano dalle fessure delle mie tapparelle, le uniche del quartiere che restano abbassate. hai presente quei condomini enormi cinesi, popolari, con migliaia di appartamenti sei metri per tre? no? io ho visto la mostra di un fotografo, forse del nord europa, molto bella, che è andato in questi alveari e ha fotografato tutti gli appartamenti dalla stessa prospettiva, quella della porta di ingresso. sono tutti uguali, uno stanzone con una finestrella sulla parete opposta, senza bagno che è comune per tutto il piano. il fotografo ha fatto questa composizione enorme, grande come tutta una parete del museo, con le foto in formato quadrato messe una accanto all'altra. un'idea semplice, messa in piedi senza fronzoli ma visivamente incredibile. all'interno di questi loculi tutti uguali ognuno si è organizzato a modo suo, chi ha improvvisato una cucina elettrica o con le bombole del gas, chi ha i letti a castello, chi ripara biciclette e magari vive al dodicesimo piano, chi fa fiori di carta bianca, chi ha pitturato le pareti di mille colori e chi invece ha solo un materasso in terra, una seggiola, tre scatole di cartone e un calendario appeso alla parete. ecco, non so se ho reso l'idea, ma ti immagini se arrivasse l'ambulanza là sotto e tutti si mettessero ad alzare le tapparelle? sarebbe assordante. drrrrraaan, hai presente? parlavamo della serie di eventi. degli aeroplani e delle ambulanze. cadono, vengono giù. gli aeroplani, non le ambulanze. nel mio quartiere borghese anni sessanta, dove tutte le case sono di proprietà e pare di stare in geriatria, da circa tre settimane la natura si è svegliata e sta facendo il suo corso. battono i tamburi, fischiano le sirene, e tutti sul terrazzo a vedere chi non ce l'ha fatta. uno dopo l'altro, tutti i vecchi se ne stanno andando. ieri, per esempio, è toccato al colonnello. ci è rimasto secco. era un po' che non si vedeva sulla panchina accanto all'edicola, dava sempre da mangiare a quei piccioni maledetti che poi vengono a cacarmi le razioni da trincea sul davanzale. al funerale sparate un colpo anche per me, puntate in alto e possibilmente abbattette una di quelle bestie schifose. poi le sirene si riaccendono e sembra il defaticamento dopo i cento metri. hai presente, mica metti il record del mondo e appena tagli il traguardo ti fermi immobile con le gambe piantate in terra. continui ad avanzare a gran falcate, col sorriso o con le lacrime. quante emozioni nei cento metri. defaticamento. i lampeggianti scompaiono dal soffitto e il vociare scema piano piano, le serrande vengono abbassate di nuovo da mani callose che ormai non si ustionano più, neanche se ti scappa di mano la cinghia e il tessuto scorre ruvido tra le dita. i rumori prendono direzioni diverse lungo le coordinate di ciascun condominio, si torna alla tisana, al televisore, al letto, alla poltrona massaggiante, alla seggiola di cucina con la gamba storta, al solitario, a cercare il gatto che è scappato alla velocità della luce agitando le zampe posteriori ad attrito zero sulle mattonelle dell'ingresso. un sorso di amaro. una tisana depurativa. ecco, questo succede tutte le sere, da un po' di tempo a questa parte. è la serie di eventi. buffo, no? sotto a chi tocca! poi a un certo punto la serie finisce. arriva l'ultima nave in avaria, l'ultima centrale elettrica che salta per aria, l'ultimo bigotto che tira le cuoia. presente? poi più nulla. finito. il primo un fatto grave, il secondo una terribile coincidenza, il terzo qualcosa di incredibile, dal quarto in poi ci fai quasi l’abitudine e l’ultimo è il più sfigato di tutti, perché in fondo non lo ricorda nessuno. la mattina successiva all’ultimo disastro, la tv mica dice: “oggi, per fortuna, non sono caduti aerei” e nessuno, a comprare la bistecca dall'elettrauto giù all'angolo, ti avvicina per raccontarti che ieri no, non ci sono state vittime. bene. eccoci al punto. vorrei tanto che l'ambulanza arrivasse in ospedale. ci dovremmo essere ormai, no? vorrei che arrivassimo in fretta, e la serie lasciarla li dove sta. soprattutto vorrei evitare di essere proprio l'ultimo, quello più sfigato. è un onore che lascerei volentieri al colonnello. ma adesso sono stanco di parlare, anche se insisti e mi dici che devo stare sveglio. giuro, non ci conosciamo, ma se sopravvivo ti invito a cena. ormai casa lo sai dov'è, mi hai preso su con la barella, hai presente? certo, certo se vieni la spesa la faccio da un'altra parte.

3.7.13

4 E 37


DUE PAROLE:
UN PEZZO SCRITTO DA ASCOLTARE GUARDANDO FUORI DALLA FINESTRA. 
IL GRINZA ESISTE DAVVERO, FIDATEVI DI ME.


























FOTO FRANCESCO BERTOCCHINI







La neve è venuta e se ne è andata. Così, senza grandi rivoluzioni. Ho dormito da Dio per un paio di mattine, senza gli autobus a caricare ragazzini sotto la finestra del salotto. Che poi è anche l'ingresso, la cucina e la camera da letto. Solo il cesso ha le sue pareti in questa casa. Pareti, si, ma nessuna porta. La padrona di casa ha preferito mettere un tubo delle impalcature con una tenda appesa. La tenda è così lisa che ti accorgi che c'è solo quando ci sbatti la faccia. Ero proprio al cesso quando ha iniziato a nevicare. Lo so per certo, erano le 4 e 37. Secondo l'orologio appeso sopra il letto, che è anche il divano. Sono alla finestra che mi fumo una sigaretta. La moca lascia colare mezzo caffè tra il pezzo sopra e il pezzo sotto. Sento l’odore di bruciato e vado al cesso. Sbatto la faccia sulla tenda. Faccio due gocce. Esco e sbatto la faccia sulla tenda, mi incazzo e la strappo via. Vedo i fiocchi cadere. L'orologio segna le 4 e 37. Mi verso quel che resta del caffè pescando una tazza a caso dall'acquaio. Mi siedo davanti alla finestra aperta. I fiocchi che vengono giù. Ingoio il caffè. Fumo. Me ne vado a letto buttando la cicca sul tetto della pensilina degli autobus. Affonda nello straterello di neve e si spegne. Sopra di me abita un vecchio magrissimo. Non è gracile. E' un fascio di nervi. E' fatto di cuoio bruciato, come un portafogli di pelle tutto graffiato. I segni del pirografo. E' il Grinza. Una volta ho sentito dire che prende le punture per qualche schifo da vecchi ma io non ci credo, gli aghi si spezzano per forza su quella pellaccia dura. Lo chiamo il Grinza, con l'articolo. Il Grinza. Mi sveglio. La neve continua a cadere. Alla fermata dell'autobus non ci sono ragazzini maledetti che fanno a gara a chi ha il pisellino più lungo, perché è tutto coperto di neve. I mezzi pubblici non circolano, le scuole sono chiuse. E' chiusa anche la carrozzeria di fronte. La tettoia di lamiera è bianca sotto i due grandi platani. Fumo e getto le cicche sulla pensilina. Il Grinza quando è a casa trascina degli oggetti molto pesanti. Oggetti di ferro. Incudini. Tutto il tempo, non si ferma mai. Voglio andare a chiedergli le uova per vedere come è fatta casa sua. Per me ci sono solo scaffali di metallo pieni di valvole e pezzi di tubo. Magari anche il tubo della tenda viene da casa sua. Non dovrei chiedere delle uova, ma dei pezzi di ferro. Il parco è a mezzo isolato. I ragazzini potrebbero giocare per la strada, oggi. Quando tutto è coperto di neve che te ne frega se sotto c'è il prato o l’asfalto? Nulla. E invece no, sono tutti laggiù. Senza ragazzini giù alla fermata, bevo caffè e fumo in santa pace. Oggi me ne resto a casa. Il Grinza continua a muovere lastre di piombo. Fonde metalli pesanti. Il Grinza è un cacciatore. Lo incontro spesso quando rientro a casa, verso le cinque. Lui si è appena alzato. Mi sono perso i momenti migliori per starmene a casa,senza i pezzi di ferro che grattano il pavimento. O forse no. Le macchine. L’automazione dei processi della produzione dell’acciaio. Comunque deve dormire pochissimo, il Grinza. Ha sempre quello sguardo allucinato. Le prime volte che lo incontravo per le scale, tutto equipaggiato per sparare, pensavo che mi sarebbe schiattato tra le braccia. Che cazzo di sguardo allucinato. Che cazzo di cacciatore. Quando vado a sbirciare a casa sua invece delle uova dovrei chiedere delle pallottole. Mi sono addormentato a sedere davanti alla finestra aperta. Dovranno amputarmi una gamba. E' buio e ha smesso di nevicare. Voglia di uscire, ma è impossibile. Le scarpe hanno le suole bucate. Mi fumo una sigaretta, tremo, vuoto il posacenere rubato in quell'hotel sbattendolo sul davanzale. Vado a letto. L'orologio segna le 4 e 37. Il Grinza è furbo. Molto furbo. Quando avevo ancora i soldi per permettermi la macchina, i primi tempi che abitavo qui, una volta trovai due ruote forate. Era il giorno che avevo scoperto che Il Grinza era un cacciatore. Lo avevo incontrato sulle scale, e appena era uscito dal palazzo ero salito di un piano e gli avevo pisciato sullo zerbino. Non ho mai avuto simpatici i cacciatori e i loro cazzo di fucili. Ecco, tutte e due le ruote di dietro le avevo trovate forate. Il carrozziere mi disse che erano state forate con una grossa lama, un coltello. Come quello alla cintura de il Grinza. Non avevo i soldi per le gomme nuove, così avevo lasciato perdere. Invece comprai un arsenale di botti illegali. Per due mesi li ho lanciati sul terrazzo de il Grinza ogni volta che gli sentivo tirare lo sciacquone. Volevo farlo diventare matto. Ne ho lanciati anche parecchi sulla pensilina dell'autobus, la mattina, a quei fottutti ragazzetti. Non vi dico i casini col quartiere. I cani che impazzivano. Ma Il Grinza nulla, soldatino del cazzo. Un uomo tutto d'un pezzo. E' mattina, ma non riesco a dormire. La neve si scioglie dai tetti, gocciola dai platani sulla tettoia del carrozziere, sull'asfalto. Poi scivola nei tombini e si contamina di schifezze. Tutto questo liquefarsi mi fa venire un gran voglia di pisciare. La tenda è appallottolata in un angolo, raggiungere il cesso è così semplice. Mi metto li, lo tiro fuori e penso alla neve. Mi concentro sui colpetti ritmici sulla tettoia. Faccio altre due gocce. Chissà se torna a casa con qualche preda. Magari le imbalsama riempiendole di ferro. Appende alle pareti le teste piene di metallo. I trofei che si staccano e sfondano le mattonelle sulla mia testa. Le neve gocciola e io mi faccio un'altra pisciata. Sono pieno di sigarette e caffè. Posso resistere un'altra serata, un'altra nottata in attesa che se ne sciolga ancora un po’. Io a Il Grinza in vita mia ho detto solo due cose: "Salve" e "Un bastardo mi ha forato le ruote della macchina. Ha mica visto chi è stato?" Poca roba, ma lui è anche peggio. Nulla. Non mi ha mai parlato. Ha sempre e solo grugnito, con gli occhi sgranati di chi vede la morte in faccia e sta per schiattare. Che fosse vestito da cacciatore o elegante alla domenica, per la messa, per il cimitero o per il mercante del ferro, mi ha sempre e solo grugnito. Salve. Gnnn. Salve. Gnnn. Salve. Gn. Di poche parole, il terzo giorno. Il cappello mimetico in testa, il fucile a tracolla e gli occhi di sta per cacarsi addosso. Un bastardo mi ha forato le ruote della macchina. Ha mica visto chi è stato? Gnnn. Notte. Rumori dalla strada. Una voce catarrosa impreca con forza. E' la prima volta che la sento, ma non ho dubbi: è la voce de Il Grinza. E infatti è qui giù. Il Grinza è in mutande e ciabatte, tutto il cuoio esposto al gelo della poca neve rimasta. Ha il fucile in mano, e sta imprecando qualcosa mentre cammina avanti e indietro tra la tettoia del carrozziere e la pensilina degli autobus, qui sotto. Ogni tanto si ferma di spalle, rivolto verso i platani, prende la mira e poi si rimette a fare in su e in giù. E' proprio incazzato, esala vapore fetido nel freddo. Mi accendo una sigaretta mentre il vicinato impiccione inizia ad affacciarsi. Qualcuno dai piani sopra gli dice di tornarsene in casa, o si buscherà un malanno. Lui risponde qualcosa, la voce strozzata dalla rabbia. Wow. Non avevo mai notato che avesse una dentiera così bianca. Forse sono i riflessi della neve. Fa un'altra volta avanti e indietro e impreca. Ha le vene che scorrono come torrenti tra i solchi della fronte, rischia veramente un embolo per quanto è su di giri. Blatera qualcosa che da questa parte dei denti bianchissimi si sente appena: a quanto pare, per colpa della neve se l’è fatta addosso, povero diavolo. Tira il grilletto e con un colpo perfetto abbatte un ramo, che crolla di schianto sulla tettoia di lamiera. Schegge impazzite si piantano in quella sua pellaccia dura trafiggendola come il burro. Getto la cicca sulla pensilina, mentre Il Grinza sporca tutta la neve. Quando arrivano i primi soccorsi, l'orologio sulla parete segna le 4 e 37.